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Immagine del redattoreCasa delle Agriculture Tullia e Gino

Il Bilancio Sociale sulla Notte Verde

Per approfondire: Angelo Salento / Bilancio Sociale Il Salento meridionale è fra le aree italiane a maggior rischio di spopolamento. L’invecchiamento della popolazione è legato sia alla scarsa natalità, sia alla tendenza dei più giovani ad abbandonare il contesto locale. L’uno e l’altro fenomeno chiamano in causa la carenza di prospettive di lavoro, ma anche la difficoltà di accedere ai servizi fondamentali, a una base di benessere condiviso. A quali condizioni è possibile restare o tornare in un contesto di questo tipo? Nel 2012 un piccolo gruppo di giovani di Castiglione d’Otranto, tutti con esperienze di lavoro e studio fuori sede, iniziò ad affrontare questo tema, scommettendo sul fatto che non soltanto l’agricoltura in senso stretto, ma la terra — o, meglio, la campagna — possano essere il luogo di una nuova prosperità, costruita non soltanto sul reddito e i consumi individuali, ma anche sul benessere condiviso, sulla qualità dell’ambiente vissuto e sul valore dei legami sociali. Decisero di affrontare la questione pubblicamente, con una manifestazione, la Notte Verde, che avrebbe accolto spazi di discussione, occasioni di intrattenimento, ma anche un’esposizione dei prodotti dell’agricoltura contadina. Quest’anno la Notte Verde giunge alla settima edizione e oramai è divenuta una manifestazione partecipata da decine di migliaia di persone. Ancora più importante, però, è quel che avviene a Castiglione fra un’edizione della Notte Verde e la successiva. Quel gruppo di amici ha nel frattempo fondato un’associazione, la Case delle AgriCulture “Tullia e Gino”, che recentemente ha dato vita anche a una cooperativa. E, di anno in anno, sperimenta nuove attività nel solco di quell’approccio che sociologi ed economisti rurali, su scala europea, definiscono “neo-contadino”. Innanzitutto, ha rimesso a coltura, con metodi naturali, terreni disattivati, ottenendoli in comodato gratuito dai compaesani; ha reintrodotto varietà in via di abbandono (soprattutto cereali e pomodori); ha realizzato un “vivaio della biodiversità” in grado di riprodurre autonomamente un patrimonio biologico a rischio; ha dato vita a una Scuola di AgriCulture, che offre corsi di alto livello per chi desidera apprendere le tecniche dell’agricoltura e della pastorizia sostenibili; ha fondato un “gruppo di acquisto popolare”, che distribuisce i prodotti dell’agricoltura contadina; ha realizzato, in collaborazione con la cooperativa “L’Adelfia” di Alessano, uno spazio di agricoltura sociale destinato alla riabilitazione di pazienti; sta costruendo, grazie anche a un finanziamento regionale, un “mulino di comunità” che sarà un luogo di riferimento per quanti, nel circondario, intendono portare la loro produzione cerealicola a una molitura di altissima qualità. Il capitale economico di partenza di tutte queste attività è estremamente limitato. Le risorse messe a valore, invece, sono il capitale ambientale, ovvero la qualità di una terra che può dare prodotti di pregio a chi la sa e la vuole lavorare con rispetto e dedizione; e il capitale sociale, ovvero l’insieme delle relazioni sociali sulle quali si può contare. Anche su questi fronti, in verità, Casa delle AgriCulture partiva dal nulla: niente terra, niente strumenti — se non un piccolo trattore del 1952 «che il nonno comprò dopo 25 anni di Svizzera», recentemente messo a nuovo con i proventi dell’attività — e l’insofferenza di chi non desiderava troppi scostamenti dalla sonnacchiosa routine del paese. Oggi la superficie agricola riattivata supera i 10 ettari e Casa delle AgriCulture è al centro di una rete di relazioni e collaborazioni molto vasta, non soltanto locale. A fronte di un investimento di capitale pressoché nullo, il valore sociale generato da queste attività — ancor prima che il loro valore economico — è molto alto. Certo, i protagonisti di questa storia operano ancora oggi in regime di “pluriattività”: si dedicano alla campagna, ma molti di loro non hanno abbandonato le professioni di giornalista, di operatore sociale, di impiegato e via dicendo. Qualcuno tuttavia già riesce a vivere, con sobrietà, del lavoro di questa nuova agricoltura, interpretando la campagna come uno spazio di quotidiana innovazione. A differenza di quanto avviene nei circuiti della grande distribuzione organizzata, che destinano la gran parte del valore aggiunto ai segmenti logistici e commerciali, nei mercati della nuova agricoltura il valore prodotto resta totalmente nel controllo dei produttori. Si aggiungano il vantaggi che ne scaturiscono per la collettività, dal momento che i nuovi contadini si fanno carico del lavoro di conservazione del patrimonio rurale — l’ambiente, il paesaggio, ma anche le risorse culturali e sociali dei borghi — che i grandi circuiti commerciali viceversa deteriorano. Una ricchezza, dunque, che resta nel territorio e produce benessere diffuso e duraturo. La sfida da raccogliere, adesso, è quella di cambiare scala. L’esperienza di Casa delle AgriCulture — che fortunatamente non è isolata — ha mostrato che la campagna e la produzione agricola contadina possono dare enormi contributi al benessere e alla prosperità collettiva. Su questa base di partenza, il Salento può costruire un vero proprio sistema territoriale del cibo. Per una volta, non parliamo soltanto di branding e marketing territoriale, ma di un’architettura, anche istituzionale, che persegue più obiettivi: migliorare la qualità dell’alimentazione (a cominciare dall’educazione alimentare dei bambini in età prescolare), generare una politica economica territoriale fondata sulla qualità della produzione agricola e sulle altre attività che ruotano intorno alle campagne, rigenerare il tessuto rurale e il rapporto fra centri abitati e campagna, sostenere il reddito e la qualità della vita di quanti desiderano restare o tornare nel Salento. In altri contesti i lavori sono già iniziati. Il Salento non ha tempo da perdere, su questo fronte, perché ogni giorno subisce un’emorragia di popolazione giovane che le glorie del turismo di massa — un’industria pesante, non dimentichiamolo — non possono compensare. La Notte Verde sarà l’occasione migliore per discuterne pubblicamente, misurandosi con esperienze di alto livello. Angelo Salento — Università del Salento

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